Intervista a Illich
di Francesco Codello
Impossibile. Appena entrato nel salone della Fiera in cui si tiene il convegno mi dicono che è proprio impossibile, che Ivan Illich non concede interviste a nessuno, che rifiuta di servirsi dei mass-media per sottolineare l’importanza della conversazione diretta con la gente, senza mediazioni e mediatori. In effetti, quando è il suo turno di intervento, Illich rifiuta addirittura di servirsi del microfono e di salire sul palco. Se non si parla così – spiega – se non si recupera la parola umana, non vale la pena a mio avviso di parlare di spazi. Se siamo qui in troppi per poter ascoltare un uomo, significa che siamo semplicemente in troppi per poter avere una conversazione: e oltre un certo numero di persone, vi può essere solo quello che possono fare anche le macchine: la comunicazione. Ma non vi può essere conversazione, che è tutt’altra cosa.
Più tardi, nella sosta di mezzogiorno, tra una piadina e un bicchiere di sangiovese, riesco a scambiare qualche battuta con Illich. Altri premono intorno per poterlo intervistare, chi per una radio locale, chi per un giornale – ma Illich non demorde. Si distingue per la sua insistenza una di radio radicale, che illustra ad Illich più di una ragione per farsi intervistare almeno da lei: la più convincente dovrebbe essere il fatto che radio radicale è ascoltata in mezza Italia. Illich si spazientisce e le chiede se davvero lei sia della radio del partito radicale, quello rappresentato in parlamento. Sì, gli risponde l’aspirante intervistatrice, vedendo il suo interesse e sperando di aver fatto colpo. Ma Illich taglia corto: Si vede allora che siete troppo poco radicali!
Riesco comunque a scambiare qualche battuta con Illic. Trascrivo qui di seguito, disordinatamente, alcune risposte che mi ha dato nel corso di questa improvvisata “intervista”, a quanti (tanti) volevano sapere tante cose da lui.
Per prima cosa gli ho chiesto se rispetto al libro che lo ha reso famoso in Italia (“Descolarizzare la società”) egli abbia mutato qualche sua opinione lì espressa.
No – mi ha risposto – se dovessi riscriverlo oggi riscriverei le stesse cose di allora, tali e quali.
In quanto anarchici noi siamo stati sempre contro la scuola istituzione e favorevoli invece all’apprendimento libero e spontaneo. Anche rispetto alla parte propositiva del tuo libro hai conservato le stesse opinioni?
Sì. Solo che ora ridurrei lo spazio che in esso ho dato a questa parte. Riscriverei quelle stesse cose, però in maniera più sintetica. Erano solo delle idee, delle tracce su cui lavorare e discutere. È inutile, anzi dannoso, voler delineare l'”utopia”.
In che rapporto sei con Reimer e in quale eri con Paul Goodman?
Sia io che Reimer possiamo considerarci discepoli di Goodman. Egli è stato il nostro maestro. A lui dobbiamo la nostra formazione. Noi stiamo lavorando su quanto Goodman ha già detto e scritto. È stato un uomo molto importante per noi.
Quando mi diceva queste cose abbozzava un sorriso e andava con la mente ai ricordi. A questo punto mi ha fatto capire che avrei potuto registrare qualche cosa con lui solo parlando di Paul Goodman, il grande pensatore e pedagogista libertario tanto noto negli U.S.A. quanto sconosciuto in Italia.
La situazione del terzo mondo è veramente particolare. Quasi nessuno va a scuola, gli individui non sono scolarizzati. Visti i risultati delle società “progredite” e “scolarizzate”, essi possono ritenersi fortunati. Nel CIDOC ad esempio lavorano analfabeti o autodidatti per la maggior parte. Ricordo di un ragazzo che voleva lavorare con noi e resosi conto della necessità di apprendere le lingue, egli da analfabeta divenne poi un buon poliglotta.
Si può quindi dire che in questo senso, tu pensi a quella che proprio Goodman chiamava l’educazione “incidentale”?
Esatto! risponde Illich. Ed io penso che in questo modo abbia risposto anche a una delle obiezioni più frequenti che gli vengono rivolte e che anch’io avevo inserito fra le domande da sottoporgli. Le sue tesi sarebbero, sostengono alcuni tra i suoi critici, probabilmente applicabili alla realtà arretrata e involuta del terzo mondo e non certo alla situazione dei paesi industrialmente avanzati.
Il gruppo a questo punto si sciolse ed io approfittai per avvicinarlo da solo. Dopo qualche battuta sono riuscito a convincerlo a lasciarmi registrare alcuni suoi ricordi intorno a Paul Goodman, ed Illich si è convinto dell’utilità di farlo conoscere anche in Italia, soprattutto tra gli anarchici e i libertari. Siamo usciti dal padiglione e ci siamo diretti verso un’aiuola lì vicino. Ci siamo seduti, sotto un sole primaverile e ho incominciato a registrare.
Le cose che voglio dirti su Goodman, sono alcuni ricordi. Consideravo Goodman, tra il ’68 ed il ’70, l’uomo con il quale più mi identificavo rispetto all’analisi sulla scuola, e in particolare rispetto al concetto di educazione incidentale, che significa apprendimento motivato e occasionale che nasce proprio da un bisogno contingente. Rifiuto quindi di qualsiasi sistema educativo e scolastico che voglia imporre un’educazione a un gruppo di età qualsiasi. Come ho scritto nell’introduzione di Descolarizzare la società, in questo libro non volevo che ripetere, nel 1970, ciò che Goodman aveva già detto in Complsory Mis-Education.
Tu vuoi qualche ricordo…. La prima volta che ho sentito parlare di lui è stato quando lavoravo, nel ’51, in uno slum, in un ghetto portoricano e lottavo contro la mafia italiana che imponeva l’uso della droga a questa povera gente. Sentivo parlare di questo Goodman, che a cento strade di distanza, avanzava la proposta di abolire a tutti i costi ogni legge che proibiva la vendita della droga per evitare quello che ormai è sotto gli occhi di tutti. Goodman diceva queste cose già allora. Tornando a Goodman, egli a causa del suo radicale anarchismo, aveva la capacità di vedere il mondo dal di fuori. Grazie alla sua cultura poetica era anche un grande lirico…. Oltre al sua anarchismo, anche la sua cultura classica contribuiva a porlo al di fuori della società. Era infatti professore di filosofia. Era molto studioso, anche se sembrerà strano, di Kant.
Di Kant? Forse per le concezioni sulla morale come imperativo categorico? Come regola che uno si impone liberamente?
Esattamente. In ogni modo non voglio darti delle interpretazioni di Goodman, solo dei ricordi. Stavo pensando, adesso, alla questione che mi hai posto, su cosa dovresti fare come maestro, insegnante in una scuola. Usa la scuola nella misura del possibile per sedurre, stimolare, invitare i bambini e le bambine a delle conversazioni personali con te. Rispetto a ciò tu non ti senti maestro-impiegato, ma solo te stesso. L’unica possibilità è questa. Avere cioè dei contatti diretti con dei bambini. È una cosa importante, un privilegio, una cosa impossibile all’uomo moderno. Era quello che faceva spesso Goodman. Chiedeva a un gruppo di ragazzi di raccontargli che cosa si ricordassero, in 12-14-16 anni trascorsi a scuola, di importante che ci fosse stato tra loro e il maestro. E le risposte erano del tipo: “Mi ricordo quando ho visto il mio maestro portare fiori alla sua ragazza” oppure, “È stato quando ho incontrato il mio maestro in treno per caso. Mi sono reso conto che è un essere umano”, e ancora, “È stato quando dopo la scuola sono andato da lui disperato e mi sono reso conto che lui mi capiva”. Questo è un concetto di Goodman.
Ma andiamo avanti. Quando prima mi parlavi della tua esperienza e della tua situazione personale mi sono ricordato di una discussione fra Goodman e Edgard Friedenberg di fronte alla televisione, con moderatore il grande papa educativo tedesco Von Hentig. Friedenberg si rivolse a Goodman: “Non puoi continuare a dire che fare l’educatore è la stessa cosa che fare la puttana, anche se lo stato può legalizzarla. Ieri ti ho visto, ti ho osservato tutto il giorno, star dietro ad una o all’altra persona giovane, parlando, cercando di convincerla di qualche cosa”. “Sì, rispose Goodman, ma comportarsi come si comporta un innamorato, prendendomi la responsabilità totale per il mio intervento nella sua intimità e interiorità, non comportandomi come una puttana che si fa dire dalla direttrice della casa, quando, come e con chi…”. Questo ti fa forse capire qual’era il metodo di insegnamento di Goodman.
Per certi aspetti sembra il Socrate che va alla ricerca, parla….
Sì. Ma stando con lui avevi l’impressione che non fosse da meno di Socrate. Goodman si batteva sempre per la libertà, in ogni sua forma e manifestazione. Era per la libertà degli studenti di dissentire. Per la libertà degli insegnanti di sovvertire il sistema entro il quale insegnavano, utilizzandolo per fini strettamente personali. Sempre insistendo sulla necessità di una formazione estremamente critica, personale, di colui che si prendeva su di sé la responsabilità di apparire come origine dell’informazione rispetto ai giovani, non lasciando mai all’istituzione il diritto di funzionare come fonte di formazione e di educazione.
Mi sono posto un problema di questo tipo, concependo anch’io l’unica cosa da fare dentro l’istituzione, quella di avere questi contatti personali. Mi è successo però questo. I primi anni di insegnamento, tramite il rapporto che avevo instaurato con loro, i ragazzi venivano a scuola felici mentre prima per loro la scuola era solo un peso, quasi la odiavano. Ma allora sono forse stato uno strumento di “inserimento”?
Sarà…. Tutto dipende se i bambini sono venuti volentieri a scuola oppure se semplicemente sono venuti lì per vedere e stare con te. Ciò si può vedere chiaramente dal giudizio che i tuoi superiori hanno dato di te. Se hai avuto una promozione allora vuol dire che hai reso un servizio alla scuola. Se invece sei stato mandato in un villaggio ancora più piccolo vuol dire che hai fatto quello che dovevi fare….
Solo che qui in Italia le cose non vanno proprio così semplicemente… la repressione è molto più sottile, meno evidente….
Se i bambini sono venuti a scuola dicendo: “Andiamo a scuola, in questo posto orribile, perché lì abbiamo l’occasione di incontrarci con questo tipo”, è ben differente che dire: “andiamo a scuola, abbiamo un buon maestro”.
Quale segno ha lasciato Goodman nella società americana o in alcune persone?
Potrei fare la lista di almeno 15 persone che sono state profondamente toccate da Goodman e che a loro volta hanno influenzato moltissime altre persone. Certamente Susan Sontag. Non so se tu la conosci. Ha scritto quello che sia io, ma soprattutto Fromm, consideriamo uno dei più grandi articoli scritti negli anni ’60 (“L’immaginazione pornografica”). Per capire quello che significa per lei Goodman, basta leggere il suo articolo “Morte di Paul Goodman” che potreste pubblicare. Sarebbe veramente un bell’articolo da pubblicare. Allen Ginsberg, ad esempio, è un altro influenzato da Goodman. Poca gente di quella generazione si è sottratta a questa influenza…. Mi ricordo di Goodman, in una riunione di grandi cervelli (oggi non vi parteciperei più): era seduto accanto al conferenziere e oltre ad un maglione trasandato, aveva per errore lasciato la cerniera dei pantaloni aperta….
Si capisce, vuoi dire, anche dal suo modo di fare com’era profondamente autentico….
Con questo hai già abbastanza…. Mi ricordo quando lo ho accompagnato, un anno prima che morisse, ad acquistare una di quelle pietre che luccicano sott’acqua (si chiamano opal) per Sally (che era la madre della figlia) che tanto amava. Lo sforzo con il quale la cercava, la tenerezza con la quale la cercava, la tenerezza di quell’uomo, nello stesso tempo la tenerezza carnale per uomini e donne, giovani e vecchi… il senso acuto che aveva Goodman, tipico di chi aveva la capacità di aprirsi e di trovare negli altri le fessure attraverso le quali entrare, per far aprire un individuo, per farlo diventare sensitivo, dolce, umano. Era splendido….
chi è Illich
Nato a Spalato (Jugoslavia) nel 1925, formatosi culturalmente a Parigi, Ivan Illich è ordinato sacerdote all’età di 32 anni. Negli anni ’60 è pro-rettore dell’Università Cattolica di Portorico. Entrato in polemica con la gerarchia ecclesiastica, nel ’69 viene definitivamente spretato. Si trasferisce in Messico, a Cuernavaca, dove tuttora risiede, dirigendo il Centro di documentazione interculturale (CIDOC) – una specie di Università libera da lui stesso ideata.
Negli anni ’70 scrive numerose opere, tutte tradotte anche in italiano. Fra le altre: Descolarizzare la società (Mondadori 1972), Rovesciare le istituzioni (Armando 1973), La convivialità (Mondadori 1974), Capovolgere le istituzioni (in Illich in discussione, Emme Edizioni 1976), Descolarizzare e poi? (Emme Edizioni 1978), Distruggere la scuola (Edizioni del Centro Documentazione di Pistoia, s.d.), Nemesi medica (Mondadori 1978).